L’immobile in origine rurale mantiene l’agevolazione Imu

Pubblicato il 17 gennaio 2025 alle ore 10:12

Un fabbricato rurale classificato dalle origini in una categoria catastale abitativa, se in possesso dell’annotazione della sussistenza dei requisiti di ruralità negli atti del catasto, può scontare il trattamento agevolato Imu destinato ai fabbricati rurali strumentali all’esercizio delle attività agricole.

L’annotazione apposta secondo il Dm 26 luglio 2012, emanato in virtù dell’articolo 13, comma 14-bis, del Dl 201/2011, infatti, è idonea a certificare il rispetto dei requisiti impartiti dall’articolo 9, comma 3-bis, del Dl 557/1993. Questo, in sintesi, il principio affermato dalla Suprema Corte nell’ordinanza 32300/2024 del 13 dicembre scorso che dovrebbe porre fine alla querelle tra comuni e agricoltori nei cui terreni insistono immobili un tempo destinati ad abitazione e oggi utilizzati a supporto delle attività (depositi attrezzi, locali per protezione piante, conservazione prodotti, mangimi, ecc.).

Nelle controversie pendenti, pertanto, l’indagine dei giudici di merito deve essere indirizzata «esclusivamente alla verifica circa la presenza dell’attestazione di ruralità nella relativa certificazione» a nulla rilevando la categoria catastale, inidonea a rivelare se un immobile sia rispettoso dei requisiti di ruralità. Ciò in quanto l’evoluzione normativa in materia ha portato all’emersione, ai fini del riconoscimento della ruralità, e «fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo», di una «specifica annotazione» quale modalità di «inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità».

Il principio, nuovo nella giurisprudenza di legittimità, in verità è stato nel recente passato anticipato dalla giurisprudenza di merito. Sulla stessa lunghezza d’onda, difatti, si registrano le sentenze dell’ex Ctp di Bari 25/2022 e 2298/2002, nonché la sentenza 52/2024 della Ggt di I grado di Taranto, quest’ultima maggiormente addentrata nella procedura catastale ad hoc prevista dal Dm 26 luglio 2012. Le recenti statuizioni degli ermellini, d’altra parte, appaiono coerenti con il consolidato orientamento in tema di agevolazioni Imu/Tasi secondo il quale, se dal catasto non emerge il possesso del requisito di ruralità, ricade sul soggetto passivo l’onere di impugnare l’atto catastale e, in caso contrario, ove l’ente locale non intenda riconoscere l’agevolazione, è obbligato ad impugnare autonomamente le attribuzioni catastali (tra le altre ordinanza 23386/2021).

In origine i fabbricati rurali avrebbero dovuto essere classificati in categoria A/6 se abitativi e D/10 se strumentali. Ma, come rilevato dalla Suprema Corte, questa impostazione è stata superata in quanto l’articolo 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del Dl 70/2011, secondo cui doveva presentarsi domanda per l’attribuzione delle predette categorie, è stato abrogato dall’articolo 13, comma 14-bis, del Dl 201/2011. Di conseguenza, il Dm 14 settembre 2011 è stato sostituito dal Dm 26 luglio 2012 secondo il cui articolo 1, comma 2, per i fabbricati «diversi da quelli censibili nella categoria D/10», al fine di iscrivere negli atti del catasto la sussistenza del requisito di ruralità, «è apposta una specifica annotazione» dietro domanda dell’interessato. I comuni hanno conoscenza dell’iter procedurale e devono in quella sede eccepire la carenza dei requisiti tant’è vero che, in virtù dell’articolo 5, comma 2, il mancato riconoscimento del requisito di ruralità è accertato da provvedimento dell’ufficio catastale «anche a seguito di segnalazione motivata del comune». La procedura catastale è stata illustrata dalla circolare 2/T/2012 dell’ex agenzia del Territorio.

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