Con l’ordinanza n. 21875 del 29 luglio 2025, la Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento Tari, ribadendo l’assoluto divieto di integrazione postuma delle ragioni a fondamento dell’atto, già presente nell’ordinamento e oggi espressamente sancito dal legislatore della riforma fiscale.

Il quadro normativo
Già l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente (L. 212/2000), nella formulazione antecedente alla riforma, prevedeva che gli atti delle amministrazioni fiscali dovessero essere motivati con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che ne giustificano l’emanazione.
Per i tributi locali, tale principio è stato ulteriormente ribadito dall’art. 1, comma 162, della L. 296/2006 (Finanziaria 2007).
I principi ribaditi dalla Cassazione
Nell’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha chiarito che:
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la motivazione dell’avviso Tari può considerarsi sufficiente anche per relationem, attraverso il rinvio alla delibera comunale di approvazione delle tariffe, quando l’accertamento riguardi variazioni della superficie tassabile, della tariffa o della categoria impositiva, o anche il mancato riconoscimento di esenzioni previste dalla legge;
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al contrario, quando la negazione dell’agevolazione dipende dall’accertamento di un fatto concreto (es. utilizzo effettivo dell’immobile, destinazione d’uso, ecc.), la motivazione deve essere esplicita e presente sin dall’origine dell’atto, poiché costituisce un elemento essenziale dell’imposizione e non può essere integrata successivamente in giudizio.
Secondo la Corte, infatti, l’atto è motivato correttamente solo se il contribuente è posto nelle condizioni di conoscere compiutamente la pretesa tributaria nei suoi aspetti fondamentali, così da poterne contestare l’an e il quantum.
Rilievi sistematici
Questo principio – già affermato con l’ordinanza n. 26336/2024 in materia di IMU – è applicabile all’intero ambito dei tributi locali e, in generale, a qualsiasi atto impositivo.
Il divieto di integrazione postuma della motivazione trova fondamento nei principi costituzionali di imparzialità dell’amministrazione, diritto di difesa del contribuente e giusto processo.
A rafforzare questa garanzia è intervenuto l’art. 1 del D.Lgs. 219/2023, che ha inserito nell’art. 7 dello Statuto del contribuente il nuovo comma 1-bis, secondo il quale:
«i fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze».
✅ In sintesi, la Cassazione ha riaffermato un principio cardine: la motivazione dell’accertamento deve essere chiara, completa e contestuale all’adozione dell’atto. Non sono ammesse giustificazioni aggiuntive in fase contenziosa, a tutela della trasparenza amministrativa e del diritto di difesa del contribuente.
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