Il riciclo non basta: la plastica “riciclabile” è il nuovo volto del greenwashing
Ogni anno migliaia di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, nei fiumi e nei nostri suoli. Le immagini delle spiagge invase da rifiuti, delle tartarughe soffocate e delle microplastiche che contaminano persino il sale da cucina non sono più l’eccezione: sono la regola. Eppure, i grandi marchi come Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé continuano a parlare di riciclabilità come se fosse la panacea di tutti i mali.
La verità è un’altra, ed è sotto gli occhi di tutti: rendere un imballaggio “riciclabile” non significa affatto che verrà effettivamente riciclato. Secondo uno studio del 2017, fino al 91% della plastica prodotta non è mai stata riciclata. Il motivo? Le infrastrutture sono inadeguate, i costi troppo alti e molte plastiche, anche se teoricamente riciclabili, non lo sono nei fatti.

Il falso mito della riciclabilità
Quando un’azienda scrive “100% riciclabile” sull’etichetta, compie un’operazione di greenwashing, cioè di comunicazione ambientale ingannevole. L'obiettivo è far sembrare sostenibile un prodotto che non lo è. La plastica riciclabile:
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spesso non viene raccolta correttamente;
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finisce in paesi del Sud globale dove viene bruciata o abbandonata;
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degrada lentamente (anche centinaia di anni);
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rilascia microplastiche durante tutto il suo ciclo di vita.
Peggio ancora, molte aziende usano la parola “riciclabile” per distrarre l’opinione pubblica dal vero problema: la continua produzione di plastica usa-e-getta.
Non serve solo riciclare: serve progettare per la biodegradabilità
La vera svolta ecologica non sta nel produrre plastica teoricamente riciclabile, ma nel ripensare completamente il packaging, puntando su materiali:
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biodegradabili in tempi brevi;
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compostabili in ambiente naturale, non solo in impianti industriali;
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riutilizzabili su larga scala.
Perché, diciamolo chiaramente: se un materiale non può sparire da solo senza lasciare traccia, non dovrebbe essere prodotto. E ancora: se la sua presenza rappresenta una minaccia per la salute umana e ambientale, ogni argomentazione aziendale è solo una foglia di fico.
Greenwashing: il danno oltre l’inganno
Il greenwashing non è solo una forma di marketing scorretto: è un freno concreto alla transizione ecologica. Perché?
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Illude i consumatori, facendoli sentire parte della soluzione.
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Disincentiva l’innovazione reale in materiali alternativi e sistemi di riuso.
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Legittima il mantenimento dello status quo produttivo, che continua a generare tonnellate di rifiuti.
Quando Coca-Cola dichiara che le bottiglie in plastica “piacciono ai clienti” o che “saranno riciclate entro il 2030”, sta scegliendo consapevolmente di non cambiare. Di non affrontare la radice del problema.
Conclusione: dalla plastica riciclabile a una nuova cultura del consumo
Non ci serve una plastica “riciclabile al 100%”: ci serve un sistema che riduca del 100% la plastica superflua.
Per farlo, serve un cambiamento sistemico:
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vietare gradualmente l’usa-e-getta in tutte le sue forme;
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incentivare modelli di business basati sul riuso;
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adottare materiali a impatto zero, realmente degradabili;
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informare i cittadini sul significato autentico di riciclabilità e greenwashing.
Solo così potremo uscire da una spirale che oggi è più economica per i produttori, ma devastante per il pianeta.
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